Sordità, la scommessa di una startup sarda

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Intendime

 

Si scrive Intendime, a testimonianza dell’anima sarda del progetto e del gruppo che l’ha sviluppato tra i banchi dell’Università, ma si legge all’inglese, con la i finale, a simboleggiare le potenzialità internazionali di una idea d’impresa nata dall’incontro tra quattro giovani provenienti da studi completamente differenti, ma accomunati dalla stessa passione e dalla stessa ferma volontà di risolvere problemi sperimentati di persone e legati alla sordità. Loro sono Alessandra Farris, Giorgia Ambu, Antonio Pinese, Leonardo Buffetti. Per tutti, parla del progetto Alessandra Farris.

Da quanto esiste questa realtà imprenditoriale?

«Alla fine del 2014 noi soci ci siamo conosciuti attraverso il programma “Contamination Lab”, un percorso riservato agli studenti dei vari Dipartimenti accademici. L’iniziativa ci ha guidato in un percorso specifico riservato alla costituzione di di startup innovativa per passare da un problema a una soluzione. All’epoca io studiavo lettere classiche, Giorgia Ambu economia aziendale, e Antonio Pinese informatica. La nostra idea ha vinto il concorso. Poi si è unito a noi Leonardo Buffetti, ingegnere elettronico. Lui è sordo, come i miei genitori: siamo partiti proprio da queste due esperienze personali e dalla ferma volontà di contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone sorde».

Di che si tratta?

«È un sistema costituito da tre dispositivi e dall’interazione tra loro. In sostanza si tratta di un sensore universale di vibrazioni sonore, che si applica direttamente sulla fonte sonora, di uno smartwatch e di una applicazione mobile tramite cui regolare le impostazioni. Col sensore è possibile rilevare suoni della quotidianità, dal campanello al citofono, dagli allarmi alle sveglie. Basta applicarlo sull’oggetto di cui si vuole percepire il suono, regolare le impostazioni tramite l’app e ricevere gli avvisi sullo smartwatch che vibra e il cui display si illumina. Non solo: dato che gli smartwatch possono comunicare tra loro, più persone possono chiamarsi con un tasto da una stanza all’altra, o far partire l’emergenza. Questo è fondamentale per persone con sordità gravi o per persone anziane».

Oggi quanto è rimasto fedele l’idea rispetto alle origini?

L’idea è rimasta la stessa, ma abbiamo cercato la tecnologia migliore rispetto ai risultati che vogliamo, a iniziare dalla possibilità di rilevare suoni con precisione, flessibilità e versatilità tramite oggetti mobili e trasportabili negli ambienti domestici, in ufficio o in altri contesti. Ma questo è solo l’inizio.

A che punto siete?

«Non siamo ancora non sul mercato, ma stiamo facendo tutto quello che si deve fare per arrivarci al più presto. Abbiamo fatto i primi test con gli utenti e i risultati sono molto buoni, ma dobbiamo ancora farne degli altri. Poi attiveremo un fundraising per continuare a investire, come abbiamo fatto con tutti i premi e i riconoscimenti sin qui conseguiti».

Qual è il grado di innovazione – tecnologica, di sistema o comunicativa – del progetto e quanto influisce sui risultati?

«La nostra è una startup, è un progetto estremamente innovativo, così come lo è il nuovo approccio del sistema universitario, che ci ha portato a iniziare il percorso ed è sempre disponibile quando abbiamo bisogno. Attualmente facciamo capo a “The net value”, un incubatore d’impresa di Cagliari».

Restando al livello di innovazione tecnologica: è elevato?

«Sì, perché questa sembra una soluzione semplice – e in effetti lo è, ma per gli utenti – tuttavia la sua realizzazione richiede tantissimo impegno e tantissima applicazione».

Qual è l’impatto sociale?

«È forte, pensiamo a uno strumento in grado di migliorare la vita di tante persone sorde, e lo facciamo avvalendoci del loro supporto. Vogliamo allargare il team attraverso l’inserimento di altre persone sorde, che lavorino in prima persona alla soluzione. Se vogliamo, è anche un processo di inclusione, oltre che di sviluppo imprenditoriale».

È una realtà radicata nel territorio?

«Ha la Sardegna nel nome, abbiamo scelto di stare a Cagliari e fare innovazione nell’isola, anche dopo percorsi di incubazione in altre parti d’Italia. La Sardegna ha dato tanto al nostro progetto, l’idea è partita da qui, qui ci siamo idea incontrati, da qua vogliamo partire».

In che cosa investire in Sardegna ha rappresentato un plusvalore?

«Per la nostra esperienza, l’Università sarda ci ha dato il la ed è stata capace di innescare il processo attraverso cui un’idea diventa un progetto, favorendo anche la formazione e stimolando input che ci hanno permesso, pian piano, di crescere. Oggi cresciamo ancora, grazie anche al supporto della Regione e di Sardegna Ricerche. La Sardegna è una regione molto digitale, c’è grande disponibilità a fertilizzare questo ecosistema».

E quali sarebbero invece gli aspetti da migliorare?

«È necessario semplificare sempre di più i processi, iniziando da quelli di informazione e di accesso ai fondi. Alcune cose andrebbero approfondite, rese più chiare, date meno per scontate».

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Aggiornato il 11/09/2017